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Intervista a...

Ormai lo dico e lo ripeto da una vita: sono convinto che la cultura debba essere condivisa e per questa ragione il messaggio deve essere forte e chiaro.

E’ da tempo che sono disponibili i famosi taccuini didattici, trattasi di compendi sintetici e pratici per sperimentare e cogliere immediatamente un concetto o una pratica. Non ho mai pensato che leggere manuali sintetici potesse rischiare di avere effetti da disgregatore culturale, sinceramente il peggio che può accadere è ricevere informazioni superficiali, dicasi imparare qualcosa di nuovo da approfondire… tutto qua. La ricetta è molto semplice: qualsiasi via è buona se apre le porte alla conoscenza senza dare informazioni errate. Capita molto spesso che, durante le prove, ci si accordi per una modifica al ritornello o una piccola nuance nel pre chorus e qualcuno non abbia propriamente chiare le coordinate. Alcuni sostengono che non sia indispensabile conoscere le strutture, basta uno spartito e la pillola va giù… non è indispensabile neanche suonare la batteria, si vive lo stesso, con atroci sofferenze e gravi mancanze, ma si vive lo stesso… Mi torna alla mente un validissimo aiuto scritto da un cantautore dotato di grande curiosità e sempre alla ricerca di un qualcosa in più.

In questa intervista ho il piacere di fare quattro chiacchiere con un musicista impegnato da più di 20 anni nel mondo del songwriting, un musicista che si interfaccia costantemente con la realtà della composizione nel mondo della musica leggera. Ragazzi, vi presento…..

Max Greco, musicista romano classe 1970, studia chitarra con i Maestri Leonardo Gallucci e Lello Panico, quindi si dedica allo studio e alla pratica del songwriting, per lo più nel genere folk/americana. Ha suonato negli anni in diverse band, jazz, bluegrass, americana, inciso degli album alla Ukulele Records di F. Pietro paoli, e collaborato con Audino Editore come autore dei manuali di Songwriting ed Esercizi per cantautori e consulente per la collana musica.

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Luca: ciao Max, benvenuto su Drumposition!

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Max: grazie caro Luca, è un piacere…

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Luca: Max, durante la tua carriera hai potuto “testare” tantissimi batteristi. Da compositore, come tratti le parti di batteria?

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Max: nel mio genere, che è il cantautorato folk, ne ho testati meno di quelli che avrei voluto LoL! Però da quando ho cominciato a registrare con i batteristi nell’organico, devo dire che sono rimasto contentissimo dei risultati, i brani avevano tutti un ‘tiro’ diverso, e io ho scritto in modo diverso sapendo che c’era la batteria.

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Luca: qual è il suono di batteria che hai costruito nella tua mente? Quel suono che impieghi quando scrivi usando la mente.

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Max: la batteria per me è una pulsazione primordiale, infonde potenza al ritmo. Mi piace un ostinato sulla grancassa, molto semplice se vogliamo. Quando la parte di batteria la faccio io col MIDI, per i provini, di base faccio parti così.

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Luca: cosa cerchi quando collabori con un batterista?

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Max: tante cose, tanto chiedere non è peccato. Ad esempio, mi piace quel suono che dicevamo, ma anche che il batterista propriamente collabori a individuare quello di cui il brano ha bisogno dal punto di vista ritmico, che mi faccia cambiare idea eventualmente e che mi cambi il pezzo. Un pezzo folk o country con la giusta ritmica sotto come niente diventa rock, e non è niente male.

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Luca: ci sono tanti tipi di musicisti quanti sono gli esseri umani… ma è anche vero che molti elementi comuni permettono in qualche modo di individuare delle categorie. Quali sono gli “ostacoli” maggiori che ti capita di incontrare con certi batteristi?

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Max: nelle band che si facevano da ragazzi ricordo particolarmente difficile il batterista che non fa caso alla dinamica del pezzo, non cresce quando dovrebbe – e se non cresce lui ... ma ripensandoci, chissà che errori facevo io, da ragazzo LOL

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Luca: nel tuo “Manualetto di Songwriting” ci sono moltissime proposte di modelli analitici che si possono applicare ad una discografia praticamente illimitata. Ci daresti qualche spunto da applicare dalla prospettiva del batterista?

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Max: L’unico spunto è quello di interpretare la batteria non come uno strumento di accompagnamento, ma uno strumento con cui comporre. La composizione per gli europei, sicuramente per ‘colpa’ della musica classica, è per lo più una questione di armonia e melodia. Inoltre le stesse melodie semplificano il ritmo, pensiamo all’inno alla gioia ad esempio, come sia un susseguirsi di note di eguale durata. Ma quanto più interessante può essere un pezzo se la melodia è sin dall’inizio composta sulla base della pulsazione ritmica che propone il batterista? Su un ritmo complesso inoltre, anche il pattern ritmico della melodia sarà più complesso, in termini di entrate ed articolazioni, più vario. Nello stesso senso il batterista può comporre, non solo l’accompagnamento, ma lo stesso pattern ritmico della melodia, e al melodista rimarrebbe di ‘mettere’ le note. E questo senza considerare l’altra parte della composizione, che è l’arrangiamento: perché limitarsi al supporto ritmico e non sperimentare nuovi ruoli? Essere il protagonista del crescendo dinamico: chi meglio del batterista? Suonare il pattern ritmico della melodia all’unisono col cantante, affidare alla batteria un ruolo protagonista negli intermezzi narrativi, trasformarla in solista, ma per narrare, non per sfoggiare virtuosismi. Un altro spunto è quello di cercare di modificare il suono della batteria, in modo da creare suggestioni ogni volta giuste per il pezzo. Penso, anche se l’esempio è un po’ vecchiotto, a Moe Tucker dei Velvet Underground, come esempio di tutte queste cose, o meglio di un modo diverso di intendere la batteria, perfettamente integrata nella ‘scrittura’ musicale, peculiare al punto che nessun pezzo dei Velvet sarebbe completo senza quella batteria.

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Luca: Noto che la nona è presa ad esempio spessissimo proprio in relazione alla struttura ritmica dell’ultimo movimento. Vorrei farti una domanda ancora più tecnica: ricordo una vecchia trasmissione di Funari in cui, stanco dell’Inno Nazionale, propose come sigla una variante. Anni prima saltò fuori una raccolta di rivisitazioni Jazz dei grandi Classici… Come si potrebbe leggere l’Inno alla Gioia in versione Pop e Country? Sempre in relazione alla nona, che percentuale di colpa ha Shiller nelle vesti di paroliere?

Max: In versione elettro-pop la melodia funziona benissimo com’è, basta metterci una base sintetizzata (questo dà da pensare come il pop sia diventato alla fine un non-genere). Il country, semplificando, è la ibridazione del folk inglese con la musica afroamericana. E’ questa ultima componente secondo me (ritmo sincopato e tendenza alla pentatonica, pur se maggiore) che rende la maggioranza delle melodie classiche e questa in particolare inadatte al country. C’è da dire, che, pure se divertenti – e a volte molto istruttive - tutte queste trasposizioni da un genere all’altro fanno sì che il pezzo non sia comunque più confrontabile, sia un altro. La scelta del genere è una collaudata sinergia di forma e contenuto, al punto che l’una diventa l’altro... Shiller, non saprei, per quanto riguarda l’inno alla gioia preferisco sicuramente la ‘cover’ in italiano del Boito, sicuramente più gaudiosa, meno filosofica …

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Luca: quando un compositore lavora sul materiale sonoro, ha in mente dei risultati che spesso l’interprete non riesce a cogliere. Giusto per un esempio ci sono Direttori che chiedono di iniziare il Bolero in punta di dita a bordo pelle… Come riesci a guidare il musicista per soddisfare le tue richieste interpretative?

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Max: la mia esperienza è di solo pochi dischi in studio, però negli anni sono cambiato tanto. All’inizio pretendevo di controllare tutto nei dettagli (speriamo che il mio amico Franco Pietropaoli non mi ascolti, sennò mi ci manda ancora: ero davvero un po’ scemo). Ora faccio presente le cose fondamentali e le dinamiche, e lascio la decisione finale di cosa fare a chi suona. Però in tutto questo è importante avere gli stessi riferimenti culturali, dei gusti almeno un po’ affini.

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Luca: cosa ti fa scegliere un batterista piuttosto che un altro in fase di audizione?

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Max: LoL non faccio mica audizioni, siamo tutti amici, sempre quelli. MA se un giorno avrò svoltato al punto tale da fare un audizione, cercherò un batterista compositore, e gli chiederò che ‘ragionamenti’ fa per scegliere la ritmica (ma soprattutto dovrà suonare come Moe Tucker)

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Luca: nel mondo della musica POP si sono stabiliti dei parametri tali per cui i virtuosismi e altri vezzi artistici non trovano grande accoglimento, qual è la ragione secondo te?

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Max: Credo che le lusinghe dei mega profitti del mercato globale abbiano determinato da parte delle major una concentrazione degli investimenti nel settore più commerciale, che è più generalista. I negozi di dischi hanno per lo più quello che si distribuisce in grande, per cui il disco indipendente innovativo e geniale, suonato alla grande, magari ce n’è per sbaglio una copia all’ultimo scaffale. Non è che non sarebbe bene accetto, e forse anche in grande, è che al consumatore proprio non gli capita sotto mano, quello che gli capita sotto mano è il genere commerciale.

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Luca: va detto che un tempo la libertà degli artisti era maggiore, il produttore investiva sulla band e collaborava sulle politiche gestionali. Oggi mi sembra che il produttore faccia la band e ne diventi l’amministratore delegato. Tu come la vedi?

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Max: La grande industria è cambiata in generale, e non solo nel settore musicale. A capo di queste immense concentrazioni di capitale non ci sono più ‘padroni’ appassionati della materia, ma managers, il cui obiettivo principale è fare profitto. La costruzione del prodotto, e anche del bisogno come marketing comanda, è una prassi oramai consolidata.

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Luca: il giudizio è qualcosa a cui ci si espone inevitabilmente ogni volta che si rende pubblico un lavoro. Quali sono i parametri che applichi alla valutazione di una composizione?

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Max: In realtà la valutazione analitica viene sempre dopo. Le canzoni migliori ti prendono allo stomaco e devi fermare la macchina, come springsteen racconta di quando ha sentito per la prima volta like a rolling stone. Secondo me una canzone ti fa così quando è una sintesi perfetta. Non puoi cambiare una nota della melodia, un elemento dell’arrangiamento, una parola nel testo, perché tutto converge perfettamente e si incastra per farti capire, o sentire una cosa specifica, e lo fa così bene che alla fine diventa una rivelazione. Alcune canzoni, sono come ‘per antonomasia’. Se devi spiegare quella cosa, a parole non la sai dire, ma quella canzone lo dice con una sintesi perfetta. Avete presente emozioni di battisti mogol? Così. Come faccio a spiegare le emozioni? Ci pensa la canzone. Come ti senti? Come quella canzone. E’ ovvio poi che di partenza ogni singolo elemento formale deve essere grande, e ci sono parametri per giudicare la adeguatezza della tecnica nella scrittura di una sequenza armonica, melodica, del testo e dell’arrangiamento. Però l’intuizione del ‘come’ questi singoli elementi convergano nella sintesi perfetta, è una rivelazione per il cantautore prima che per l’ascoltatore – è commovente per entrambi. Entrambi giudicheranno la canzone non tramite i singoli parametri, ma cogliendo la potenza di questa sintesi, la visione d’insieme, che non è tipicamente una cosa tanto razionale, ma un processo inconscio.

Alla fine, quando si dice “mi è arrivata”, sembra che si dice una cavolata, ma si dice una cosa giusta.

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Luca: una spiegazione chiarissima! Vorrei chiederti se per te vengono prima i contenuti e poi la forma o viceversa?

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Max: il punto di partenza può essere qualsiasi cosa: l’importante è che alla fine ci sia tutto, e a tutto si sia data eguale importanza.

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Luca: ci sono cliché armonici, melodici e accompagnamenti strumentali che producono determinati effetti. Credi che sia possibile tracciare una sorta di sintetica retorica musicale per batteria?

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Max: la retorica musicale esiste da sempre, e ultimamente la aiuta la musicolinguistica, che semplificando studia come le tecniche per ottenere con la musica certi effetti e significati, sono parallele a quelle del linguaggio parlato (e forse da esso desunte). Però, ancora, se tutti sanno che una melodia discendente significa “lamento” e una ascendente “gioia”, non ci siamo occupati abbastanza del ritmo, sempre per colpa della nostra attrazione per la melodia/armonia. Eppure anche la melodia ha una componente ritmica, e le stesse associazioni potrebbero esser viste in chiave di ritmo. In definitiva questa retorica della ritmica attendo chi la scriva (forse sarai tu?).

In realtà ora che ci penso, la prosodia ha cercato di catalogare il significato emotivo del ritmo dei principali modelli di versi, potrebbe essere un punto di partenza.

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Luca: mi aggancio ad uno stralcio di conversazione che abbiamo avuto per telefono in relazione a come la retorica musicale del 900 si sia posta il problema della semiologia e della semantica nella formula del pensiero musicale e quindi, implicitamente, del ritmo discorsivo. Il legame con l’immagine nel rinascimento, la retorica degli affetti barocca, l’epoca del classicismo ed il cambio di prospettiva del pubblico, il leitmotiv in Wagner (per fare una tirata di rete a maglie grosse), danno il senso della ricerca di un vocabolario universale della percezione. Il rumorista in compagnia teatrale, secondo te, potrebbe essere l’anello mancante nella canonizzazione dell’eloquenza batteristica?

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Max: Hai detto bene, un vocabolario. Se vuoi capire cosa ti dice una persona devi imparare almeno il vocabolario della sua lingua, no? Poi non è detto che capisci tutto perché non è detto che si intenda il significato letterale ma almeno possiamo avvicinarci. Ecco nel caso della musica, e dell’arte in generale, abbiamo una doppia difficoltà: il linguaggio non è mai ‘del tutto’ codificato, e il significato non è mai letterale LoL. E quindi, canonizziamo anche il ruolo e il significato del rumore, che dovrebbe sì in effetti essere un ulteriore territorio di indagine utile non solo ai batteristi

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Luca: cosa consiglieresti ad un musicista per sviluppare la propria personalità artistica?

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Max: Di scegliersi virtualmente un maestro tra i grandi della musica, un mentore a cui voler bene. Di partire, per costruire del nuovo, dalla musica che amiamo davvero. Sembra un controsenso, ma la nostra personalità è costruita a partire dalle nostre abitudini, dai nostri gusti. Quando dobbiamo descrivere uno, non diciamo tra le prime cose, gli piace tizio e caio?

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Luca: Max, ti ringrazio per essere venuto a trovarci su Drumposition!

Un grande saluto e mi raccomando, torna presto!!!

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Max: Max: è stato un piacere chiacchierare con un interlocutore preparato e curioso come te, e un onore essere parte del progetto/sito Drumposition. Credo infatti che tornerò spesso a visitarlo, visto che sono sempre in cerca di nuove idee sulla composizione, e amo – pur essendo negatissimo LoL – la batteria. Un saluto a tutti i lettori di Drumposition…

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