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Intervista a...

Qualche sera mi capita di darmi la buonanotte guardando seminari, conferenze e masterclass sulla musica. Mi piace da morire vedere quanto gli uomini si sforzino di esplorare, migliorare e condividere le proprie scoperte! Giovanissimi talenti, vecchissimi Maestri, personale specializzato in una sola e unica tecnica, fac-totum incredibili... insomma vedi la forza della vita e senti di far parte di qualcosa di grande che resterà ai posteri. Guardando meglio, però, non si può non considerare una sorta di sfida latente, una specie di “Te lo dico io come si fa!”, e a volte ci può pure stare... Ma quando capita di imbattersi nel video di un Docente che esordisce con queste testuali parole :”E’ appena cominciato il seminario meno tecnico della storia dell’umanità”, capisci subito che sei davanti ad un Artista profondo e sarà un vero spettacolo. Cari amici, si va a conoscere Matteo “TEO” Marchese!!

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Luca: ciao Teo! Come stai? Sono rimasto colpitissimo dal tuo aproccio didattico, credo rispecchi a pieno lo spirito di Drumposition: non tanto il modo di suonare quanto il come ed perchè!

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TEO: ciao Luca, grazie per avermi coinvolto.

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Luca: ti andrebbe di farci una piccola introduzione allo stile Hip hop?

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TEO: dunque lo stile hip hop, come ogni stile, credo nasca e si sviluppi per permettere a dei ragazzi di suonare quello che amano .. oppure a un villaggio di pregare una divinita' o ancora a una nazione per allentare la paura e la frustrazione. Non credo ci siano differenze di sostanza. Ho bisogno di dire qualcosa e cerco il modo di farlo. Nel caso dell'hip hop e' uno stile che mischia moltissimi elementi. Trovi soul, funk, jazz e un infinita' di influenze sonore. Nasce a New York parallelamente alla fine dell'era disco e si sviluppa fino a noi cambiando e prendendo mille forme, a volte tritato dal music buisness, a volte sfrecciando da generazione in generazione come un modo di esprimere te stesso a prescindere dal risultato. Ci tengo a sottolineare che Hip hop e' un insieme di discipline che vanno dai graffiti al ballo al rap (ci sono mille documentari che spiegheranno questa cosa meglio di me tra l'altro netflix ha dato un grandissimo spazio a questa cultura). Di conseguenza la paletta di colori alla quale accedere e' incredibilmente vasta. La vera chiave di volta dell'hip hop e' la capacita' di essere plastici nei confronti degli stimoli. I primi dj hanno preso sample di vecchi dischi funk e ne hanno creato basi per permettere ai ragazzini dei quartieri poveri di scrivere versi per esprimere la loro frustrazione. Un po' la versione moderna di quello che le chitarre hanno permesso di fare ai primi bluesman nel missisippi di inizio secolo scorso.

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Luca: è di un fascino indescrivibile la tua analisi sulla relazione fra i loop che a volte venivano cuciti “storti” tra loro e la maniera di tradurli filologicamente sul drumset. Ti va di spiegarci meglio?

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TEO: mettiamola cosi', il ritmo e' rappresentazione e sintesi di un qualcosa di universale. Il battito cardiaco (ritmo in 3) e il passo (ritmo in 2) vengono tradotti nella musica centroafricana con ritmi (vedi manganbe' o macossa ) dove la cassa suona figurazioni binarie contro strumenti piu' acuti suonano figurazioni ternarie; una minisimulazione del corpo umano. Il cuore in alto e le gambe in basso. Ne consegue che per ogni ritmo serve che il corpo lo "senta" e lo "capisca". Detto questo la domanda e' :" come mai oggi i ritmi wonky ci prendono come un walzer prendeva un austriaco del 1900?" Cosa e' cambiato nel nostro corpo e nella nostra percezione del tempo? Il mio percorso di appassionato di musica etnica e di musicoterapeuta mi ha portato a capire come la vibrazione ed il ritmo impattino sul corpo. Quando ho ascoltato J-Dilla per la prima volta e' stato incredibile come qualcosa di musicalmente sbagliato (nella tradizione occidentale e' addirittura considerato un errore) abbia colpito in un modo estremamente potente il mio corpo. Il loop tagliato storto (errore) si traduce in percezione di ritmo che il mio corpo di occidentale del 2000 trova super. L'unico nesso che poi ho trovato con la musica "giusta" sono i ritmi africani o brasiliani (vedi maracatu') o il second line di New Orleans dove i sedicesimi non sono proprio sedicesimi e le terzine non sono proprio terzine.

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Luca: seriamente, in poche battute sei passato dalla fenomenologia dell’effetto sonoro all’antropologia musicale. Vorrei provare a capire meglio: Pensi che ci sia una sorta di vibrazione trascendentale che possa raggiungere ed essere accettata da individui affini anche se inconsapevoli?

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TEO: leggo con molto interesse i libri di Carlo Rovelli perche' mi hanno permesso di tradurre in occidentalese quello che ho sempre studiato sui testi mistici. Tutto e' vibrazione, la parola , l'energia, gli sguardi, il vento, la musica. Noi siamo esseri che si percepiscono come solidi quando in realta' sono formati da atomi che non sono “pieni “. La vibrazione e' il movimento descritto da Einstein e che ritrovi nei testi di Tagore. Il prana dei testi Yogici . La vibrazione e' vita. Per cui credo che tutto ci metta in movimento. Non credo si possa parlare di consapevolezza (almeno io non credo di esserne pienamente consapevole anche se ho sentito esseri consapevoli nei letti di ospedale). Credo sia piu' un processo di comprensione e scoperta.

Luca: ciò che era impattante per corpo e anima si è poi tradotto in qualcosa di simile, è qualcosa di vicino ad un'integrazione sociale della musica o alla presa della Bastiglia?

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TEO: la musica e' nata come strumento di comprensione, un sistema per mettere in ordine il mondo in modo da poterlo afferrare, ci ha sempre accompagnati descrivendo non solo a parole l'esperienza umana sul pianeta. La musica nasce dall'esperienza del corpo e dell'anima anche se col tempo (direi a spanne dall'illuminismo in avanti) ha perso la sua connotazione mistica per diventare strumento accademico e di ego. Oggi e' difficile percepire la musica come quasi un fenomeno fisico spirituale. E' diventata mezzo per chi la fa di ottenere qualcosa. Tornare indietro richiede studio di se e dell'essere umano.

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Luca: poche note ben note e che si facciano notare, sintetizzo

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così una delle tue affermazioni sull’uso degli ottavi in un pezzo. Come possiamo tenerci a freno e sprigionare l’energia necessaria?

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TEO: credo, ma penso dipenda da persona a persona, che più

metti te stesso in una nota meno ne spargi in giro senza pensarci. Ovviamente parlando di un contesto musicale dipende da mille fattori (arrangiamento, stile, genere , etc etc). E qui devo fare un parallelo con il buddismo: Meno pensi, meno ego c'è, più scendi in profondità dentro te e dentro la musica.

Luca: Il tiro che hai è veramente.... fat! Come l’hai studiato e come riesci ad ottenerlo? (oltre alla scelta dei materiali vedo che usi il rimshot chiuso... qualche altro segreto?)

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TEO: questa e' una domanda difficilissima. Credo di aver capito da pochissimo perche' VOGLIO suonare cosi' e non in un altro modo. Per quanto mi riguarda come suono e' il frutto di chi sono misto a quello che voglio dire. Il problema e' stato capire chi sono. Suonare poco per me che ho studiato nei 90 non e' stato facile. Era l'era di Colaiuta , Weckl , Gadd e della fusion. Avere il coraggio di dire:" io non sono cosi' !"mi ha richiesto ore e ore di lavoro su di me. Poi ho capito che era tutto li da vedere bastava fare silenzio. Paradossalmente ho scoperto che per me tutto va cercato nel silenzio che abbiamo dentro. Non so se questa cosa sia esportabile a tutti. (consiglierei comunque a tutti di provare qualsiasi tipo di meditazione per sentire questo silenzio, non ci rendera' necessariamente batteristi migliori, ma sorrideremo di piu').

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Luca: noto che il tuo approccio alla batteria è molto fisico e mi pare di cogliere due tendenze distinte: la prima, quella dominante, è in sintonia totale con la memoria muscolare; la seconda è una sorta di “inganno sinaptico” il gesto viene quasi frenato un istante prima della percussione (accade principalmente sul HH). A livello uditivo la percezione è sottile ma si avverte comunque una piacevole tensione ritmica e un leggero assottigliamento della gamma armonica del piatto.... inutile dire che il risultato è STRAORDINARIO! Quanto e come ci hai lavorato?

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TEO: direi che il modo di procedere e' il seguente. Il corpo in una certa misura deve assecondare le idee che ho. Noi per suonare muoviamo gli arti, usiamo la respirazione, chi piu' chi meno inconsciamente usiamo persino le contrazioni muscolari per suonare come sentiamo. Sul come mi muovo ho lavorato quasi piu' che sui paradiddle. Ho bisogno di sentire l'hh li? Ok uso il corpo per portare il colpo in quel modo. Ho passato ore e ore a cercare modi diversi di muovere testa, spalle, busto per avere tipo diversi di ritmi. Se guardi un ballerino classico poi un breacker , poi un salsero e poi un danzatore sufi salta subito all'occhio che la matrice del movimento cambia. Il corpo umano e' costante, cambia il senso che prende il movimento del corpo.

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Luca: strutture, uno dei tuoi punti forti è la conoscenza delle forme musicali. Di solito si lavora tantissimo per avere gli ingredienti migliori ma poi come si fa a miscelarli nel modo corretto?

TEO: dico una cosa brutta, mi perdonerai. Non ho mai avuto rispetto per la forma. La musica si deve piegare alle mie esigenze, non il contrario. (non dico che chi non lo fa sbagli, ma non e' il mio percorso.) Ho prodotto dischi per le mie etichette per 15 anni. E i migliori musicisti che ho incontrato hanno una grandissima conoscenza delle forme e stili, ma un pochissimo ingessamento nell'applicare quegli stili alla propria musica. Io ho studiato gli stili perche' mi piacevano le canzoni. Se no non li avrei studiati. La didattica moderna tende a dare una visione della musica al contrario, spesso. Io ascolto una cosa e se mi colpisce la voglio imparare. Studiare il Partido Alto senza voler suonare il samba del disco che amo ha pochissimo senso per me.

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Luca: durante le performance live, che riferimenti prendi per tenere il groove sempre vivo?

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TEO: negli ultimi 6,7 anni ho sempre suonato in tour con basi e click. Amo follemente le canzoni, quello che mi danno e quello che provo mentre le suono. Se ripenso al mio percorso ho sempre fatto estrema fatica a suonare in situazioni dove suonare era una sorta di ripetere a memoria una poesia con l'evidente sei bravo se la sai , fai schifo se non la sai. Per me il punto e' chiudere tutto e suonare la canzone.

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Luca: ti occupi di musica e respirazione, come si concretizza la teoria?

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TEO: la respirazione e' un ponte tra chi pensi di essere e chi sei davvero. Ascoltati respirare mentre suoni e mi dirai.

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Luca: dieta dimagrante per batteria, una sorta di decrescita per ritrovare se stessi o una nuova consapevolezza?

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TEO: mi e' nato questo concetto perche' fatico nel mondo di internet e youtube a trovare cose che abbiano sapore. Kilate e kilate di fill , quintalate di rudimenti, groove pochini. E' come mangiare ogni giorno da McDonalds. Non fa bene, perche' abbassa di molto la soglia di attenzione. La musica e' anche fatta di cose povere, di mezzi e quarti. Respiri, attese. In piu' ti lancia nella deriva del musica uguale sport. Velocità, concorsi, correre, correre. Non credo che l'ipertrofia agonistica stimoli la ricerca di chi siamo noi come artisti. Facci caso guarda venti video di bambini su youtube che suonano velocissimi e giurami che per un secondo non hai pensato :”cazzo io non saro' mai cosi' bravo". Guarda, Levon Helm non credo abbia mai nemmeno visto i trentaduesimi...e mi fermo qui.

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Luca: sei fonico, arrangiatore, polistrumentista... Come tratti il materiale sonoro in fase di composizione?

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TEO: dipende dal contesto. Se e' un lavoro per altri mi immergo in silenzio assoluto nella canzone e cerco di vedere dove mi porta. Ho imparato che spesso la canzone ti dice dove andare e meno fai e meglio l'artista se la sente addosso. Per le mie cose diciamo che gioco, e ho messo anni per poter dire, "in modo spensierato". Tutti quei "DEVI " che  mi portavo dietro si sono man mano fatti più silenziosi.

Luca: puoi tracciare per noi un piccolo elenco delle caratteristiche di un batterista Hip Hop?

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TEO: credo che siano le stesse caratteristiche di un batterista di Black music. Stai li per 20 minuti sullo stesso beat, non correre , non tirare indietro, non aggiungere niente, non togliere niente. Fermati sorridi e ricomincia da capo perchè stare li e' troppo figo.

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Luca: che differenze riscontri fra il lavoro in studio e quello live? Come ti prepari per affrontare entrambi?

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TEO: diciamo che sono fasi di lavoro diverse. (Posto che quello che sto per dire e' valido in entrambi i casi) In studio conta arrangiamento e suono che mandi ai microfoni. Dal vivo tendo più a concentrarmi sul lato emotivo. Chi viene a un concerto deve andare via in uno stato diverso da quello in cui e' arrivato (speriamo non peggiore ehehe).

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Luca: in un genere musicale così “spartano e rigido”, tolto il suono, quanto resta della personalità del drummer?

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TEO: è la tua personalita' che ti permette di rimanere li come un pirla a non

fare nulla e sotto hai 4000 persone che muovono la testa.

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Luca: come nasce una parte di batteria?

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TEO: ascoltando tutto il resto.

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Luca: come definiresti il tuo stile compositivo?

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TEO: emotivo. Cerco di fare in modo che chi ascolti si emozioni.

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Luca: che ruolo ha la batteria in una composizione?

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TEO: per me la ritmica dice all'ascoltatore come si deve muovere,

l'armonia che mood deve avere e la melodia a cosa deve pensare.

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Luca: teo, grazie mille per essere stato con noi e per le dritte che ci hai dato!

Ti saluto e ti aspetto presto, sei sempre il benvenuto!

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contatti:

http://www.teomarchese.com/wp/

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http://www.musicaerelazione.com/

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